Papa a Milano. Sintesi discorsi

Al quartiere Forlanini

In Duomo: incontro con i sacerdoti e i consacrati

Al Parco di Monza: Omelia della Messa

A San Siro: Incontro con i ragazzi cresimati

AL QUARTIERE FORLANINI

Vi ringrazio per i due doni particolari che mi avete offerto.

Il primo è la stola, un segno tipicamente sacerdotale; mi ricorda che io vengo qui in mezzo a voi come sacerdote, entro in Milano come sacerdote. Questa stola non l’avete comprata già fatta, ma è stata creata qui, è stata tessuta da alcuni di voi, in maniera artigianale. Il mio sacerdozio, come quello del vostro parroco e degli altri preti che lavorano qui, è dono di Cristo, ma è “tessuto” da voi, dalla vostra gente, con la sua fede, le sue fatiche, le sue preghiere, le sue lacrime…

E poi mi avete regalato questa immagine della vostra Madonnina: questa vostra Madonnina è stata restaurata, come la Chiesa ha sempre bisogno di essere “restaurata”, perché è fatta da noi, che siamo peccatori, tutti, siamo peccatori. Lasciamoci restaurare da Dio, dalla sua misericordia. Lasciamoci ripulire nel cuore

In Duomo: INCONTRO CON I SACERDOTI E I CONSACRATI

In Duomo: INCONTRO CON I SACERDOTI E I CONSACRATI

Risposta al sacerdote (sull’evangelizzare oggi)

Tu sai che l’evangelizzazione non sempre è sinonimo di “prendere i pesci”: è andare, prendere il largo, dare testimonianza… e poi il Signore, Lui “prende i pesci”. Quando, come e dove, noi non lo sappiamo.

Perché evangelizzare è una gioia. Il grande Paolo VI, nella Evangelii nuntiandi – che è il più grande documento pastorale del dopo-Concilio, che ancora oggi ha attualità – parlava di questa gioia: la gioia della Chiesa è evangelizzare.

  1. Una delle prime cose che mi viene in mente è la parola sfida: Non dobbiamo temere le sfide. Quante volte si sentono delle lamentele: “Ah, quest’epoca, ci sono tante sfide, e siamo tristi…”. No. Non avere timore. Le sfide si devono prendere come il bue, per le corna. Non temere le sfide. Ed è bene che ci siano, le sfide. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutta completa: non ho bisogno di altre cose, tutto fatto. Questa fede è tanto annacquata che non serve. Questo dobbiamo temere.
  2. Seconda cosa. Tu ha parlato di una società “multi” – multiculturale, multireligiosa, multietnica … Io credo che la Chiesa, nell’arco di tutta la sua storia, tante volte – senza che ne siamo consapevoli – ha molto da insegnarci e aiutarci per una cultura della diversità. Dobbiamo imparare. Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. La Chiesa è Una in un’esperienza multiforme. E’ una, sì. Ma in un’esperienza multiforme. E’ questa la ricchezza della Chiesa. Pur essendo una è multiforme.

Ma chi fa le differenze? Lo Spirito Santo: è il Maestro delle differenze! E chi fa l’unità? Lo Spirito Santo: Lui è anche il Maestro dell’unità! Quel grande Artista, quel grande Maestro dell’unità nelle differenze è lo Spirito Santo. L’uniformità e il pluralismo non sono dello spirito buono: non vengono dallo Spirito Santo. La pluralità e l’unità invece vengono dallo Spirito Santo.

  1. Una terza cosa. C’è una scelta che come pastori non possiamo eludere: formare al discernimento.

I nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Perciò ritengo che sia bene insegnare loro a discernere, perché abbiano gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro.

Su questo vi rimando a quella parte dell’Esortazione Evangelii gaudium intitolata «La missione che si incarna nei limiti umani»: numeri 40-45 della Evangelii gaudium.

Risposta al diacono permanente (sulla figura del diacono)

Voi diaconi avete molto da dare, molto da dare. Pensiamo al valore del discernimento. All’interno del presbiterio, voi potete essere una voce autorevole per mostrare la tensione che c’è tra il dovere e il volere, le tensioni che si vivono all’interno della vita familiare – voi avete una suocera, per dire un esempio! –. Come pure le benedizioni che si vivono all’interno della vita familiare.

Ma dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici.

Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio.

Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. Il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa.

In sintesi:

– non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia;

– non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare.

Questo ci aiuta a rivalutare il diaconato come vocazione ecclesiale.

oggi sembra che tutto debba “servirci”, come se tutto fosse finalizzato all’individuo: la preghiera “mi serve”, la comunità “mi serve”, la carità “mi serve”. Questo è un dato della nostra cultura. Voi siete il dono che lo Spirito ci fa per vedere che la strada giusta va al contrario: nella preghiera servo, nella comunità servo, con la solidarietà servo Dio e il prossimo. E che Dio vi doni la grazia di crescere in questo carisma di custodire il servizio nella Chiesa.

Risposta alla religiosa (sul “siamo pochi, anziani, malati…)

“Sembriamo tanti, ma tante sono anziane, siamo poche…”. E il sentimento che è sotto qual è? La rassegnazione. Cattivo sentimento. Quando ci prende la rassegnazione, viviamo con l’immaginario di un passato glorioso che, lungi dal risvegliare il carisma iniziale, ci avvolge sempre più in una spirale di pesantezza esistenziale.

Tutto si fa più pesante… Tutto si fa più pesante; Incominciano a essere pesanti i soldi che abbiamo in banca… E la povertà, dove va? Ma il Signore è buono, e quando una congregazione religiosa non va per la strada del voto di povertà, di solito le manda un economo o un’economa cattiva che fa crollare tutto! E questo è una grazia! [ride, applausi]

Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbe dato il proprio contributo perché la massa crescesse;

Una minoranza benedetta, che è invitata nuovamente a lievitare, lievitare in sintonia con quanto lo Spirito Santo ha ispirato nel cuore dei vostri fondatori e nel cuore di voi stesse. Questo è quello che ci vuole oggi.

 

Non oserei dirvi a quali periferie esistenziali deve dirigersi la missione, perché normalmente lo Spirito ha ispirato i carismi per le periferie, per andare nei luoghi, negli angoli solitamente abbandonati. Non credo che il Papa possa dirvi: occupatevi di questa o di quella. Ciò che il Papa può dirvi è questo: siete poche, siete pochi, siete quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini,

 

Andate e portate l’“unzione” di Cristo, andate. Non vi sto cacciando via! Soltanto dico: andate a portare la missione di Cristo, il vostro carisma.

E non dimentichiamo che «quando si mette Gesù in mezzo al suo popolo, il popolo trova gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Non sopravvivere, vivere! Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore. Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo»

 

al Parco di Monza: Omelia della Messa

al Parco di Monza: Omelia della Messa

Dio stesso è Colui che prende l’iniziativa e sceglie di inserirsi, come ha fatto con Maria, nelle nostre case, nelle nostre lotte quotidiane, colme di ansie e insieme di desideri. Ed è proprio all’interno delle nostre città, delle nostre scuole e università, delle piazze e degli ospedali che si compie l’annuncio più bello che possiamo ascoltare: «Rallegrati, il Signore è con te!».

Ci farà bene domandarci: come è possibile vivere la gioia del Vangelo oggi all’interno delle nostre città? E’ possibile la speranza cristiana in questa situazione, qui e ora?

Evocare la Memoria

La prima cosa che l’Angelo fa è evocare la memoria, aprendo così il presente di Maria a tutta la storia della Salvezza.

Questa terra e la sua gente hanno conosciuto il dolore delle due guerre mondiali; e talvolta hanno visto la loro meritata fama di laboriosità e civiltà inquinata da sregolate ambizioni. La memoria ci aiuta a non rimanere prigionieri di discorsi che seminano fratture e divisioni come unico modo di risolvere i conflitti. Evocare la memoria è il migliore antidoto a nostra disposizione di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell’estraniamento.

L’appartenenza al Popolo di Dio

La memoria consente a Maria di appropriarsi della sua appartenenza al Popolo di Dio. Ci fa bene ricordare che siamo membri del Popolo di Dio! Milanesi, sì, Ambrosiani, certo, ma parte del grande Popolo di Dio. Un popolo formato da mille volti, storie e provenienze, un popolo multiculturale e multietnico. Questa è una delle nostre ricchezze. E’ un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività e a celebrare la novità che proviene dagli altri; è un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; è un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore.

La possibilità dell’impossibile

«Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37): così termina la risposta dell’Angelo a Maria. Quando crediamo che tutto dipenda esclusivamente da noi rimaniamo prigionieri delle nostre capacità, delle nostre forze, dei nostri miopi orizzonti. Quando invece ci disponiamo a lasciarci aiutare, a lasciarci consigliare, quando ci apriamo alla grazia, sembra che l’impossibile incominci a diventare realtà. Lo sanno bene queste terre che, nel corso della loro storia, hanno generato tanti carismi, tanti missionari, tanta ricchezza per la vita della Chiesa! Tanti volti che, superando il pessimismo sterile e divisore, si sono aperti all’iniziativa di Dio e sono diventati segno di quanto feconda possa essere una terra che non si lascia chiudere nelle proprie idee, nei propri limiti e nelle proprie capacità e si apre agli altri.

Come ieri, Dio continua a cercare alleati, continua a cercare uomini e donne capaci di credere, capaci di fare memoria, di sentirsi parte del suo popolo per cooperare con la creatività dello Spirito. Dio continua a percorrere i nostri quartieri e le nostre strade, si spinge in ogni luogo in cerca di cuori capaci di ascoltare il suo invito e di farlo diventare carne qui ed ora. Parafrasando sant’Ambrogio nel suo commento a questo brano possiamo dire: Dio continua a cercare cuori come quello di Maria, disposti a credere persino in condizioni del tutto straordinarie (cfr Esposizione del Vangelo sec. Luca II, 17: PL 15, 1559). Il Signore accresca in noi questa fede e questa speranza.

A San Siro: Incontro con i ragazzi cresimati

A San Siro: Incontro con i ragazzi cresimati

risposta al ragazzo (sul cosa ti ha aiutato a crescere…)

“Quando tu avevi la nostra età, che cosa ti ha aiutato a far crescere l’amicizia con Gesù?”. Sono tre cose, ma con un filo che le unisce tutt’e tre. La prima cosa che mi ha aiutato sono stati i nonni. i nonni mi hanno parlato normalmente delle cose della vita. i nonni hanno la saggezza della vita.

queste tre cose vi faranno crescere nell’amicizia con Gesù: parlare con i nonni, giocare con gli amici e andare in parrocchia e in oratorio. Perché, con queste tre cose, tu pregherai di più. E la preghiera è quel filo che unisce le tre cose. Grazie.

Risposta ai genitori (sul come trasmettere la fede)

Credo che questa è una delle domande-chiave che tocca la nostra vita come genitori: la trasmissione della fede,

E vi invito a ricordare quali sono state le persone che hanno lasciato un’impronta nella vostra fede e che cosa di loro vi è rimasto più impresso.

I nostri figli ci guardano continuamente; anche se non ce ne rendiamo conto, loro ci osservano tutto il tempo e intanto apprendono.

Gli “occhietti” dei vostri figli via via memorizzano e leggono con il cuore come la fede è una delle migliori eredità che avete ricevuto dai vostri genitori e dai vostri avi. Se ne accorgono. E se voi date la fede e la vivete bene, c’è la trasmissione. Mostrare loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso, questa è la migliore testimonianza che possiamo dare loro. C’è un modo di dire: “Le parole se le porta il vento”, ma quello che si semina nella memoria, nel cuore, rimane per sempre.

Un’altra cosa. In diverse parti, molte famiglie hanno una tradizione molto bella ed è andare insieme a Messa e dopo vanno a un parco, portano i figli a giocare insieme. Così che la fede diventa un’esigenza della famiglia con altre famiglie, con gli amici, famiglie amiche… Questo è bello e aiuta a vivere il comandamento di santificare le feste. Non solo andare in chiesa a pregare o a dormire durante l’omelia – succede! -, non solo, ma poi andare a giocare insieme.

E un’ultima cosa: l’educazione familiare nella solidarietà. Questo è trasmettere la fede con l’educazione nella solidarietà, nelle opere di misericordia.

Non voglio annoiarvi: vi racconterò una cosa che io ho conosciuto a Buenos Aires. Una mamma, era a pranzo con i tre figli, di sei, quattro e mezzo e tre anni; poi ne ha avuti altri due. Il marito era al lavoro. Erano a pranzo e mangiavano proprio cotolette alla milanese, sì, perché lei me l’ha detto, e ognuno dei bambini ne aveva una nel piatto. Bussano alla porta. Il più grande va, apre la porta, vede, torna e dice: “Mamma, è un povero, chiede da mangiare”. E la mamma, saggia, fa la domanda: “Cosa facciamo? Diamo o non diamo?” – “Sì, mamma, diamo, diamo!”. C’erano altre cotolette, lì. La mamma disse: “Ah, benissimo: facciamo due panini: ognuno taglia a metà la propria e facciamo due panini” – “Mamma, ma ci sono quelle!” – “No, quelle sono per la cena”. E la mamma ha insegnato loro la solidarietà, ma quella che costa, non quella che avanza!

risposta alla catechista

Io consiglierei un’educazione basata sul pensare-sentire-fare, cioè un’educazione con l’intelletto, con il cuore e con le mani, i tre linguaggi. Educare all’armonia dei tre linguaggi, al punto che i giovani, i ragazzi, le ragazze possano pensare quello che sentono e fanno, sentire quello che pensano e fanno e fare quello che pensano e sentono.

Conclusione: sul bullismo

E finisco con questa cosa. C’è un fenomeno brutto in questi tempi, che mi preoccupa, nell’educazione: il bullying. Per favore, state attenti. [grande applauso] E adesso domando a voi, cresimandi. In silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna del quale o della quale voi vi fate beffa, che voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per quest’altro? Pensateci. E a voi piace fargli provare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensateci. Questo si chiama bullying. Per favore… [accenno di applauso] No, no! Ancora non ho finito. Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di non fare mai questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?

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